Federico II e la Congiura di Capaccio

I ruderi del castello in cui si consumò la congiura dei baroni contro Federico II di Svevia sono ancora visibili sulla collina, al di sopra dello sperone su cui sorge il santuario della Madonna del Granato. Era nei pressi del santuario che sorgeva Caput Aquis, fondata dagli ultimi abitanti di Paestum che avevano lasciato la pianura. Ma questa città ebbe vita breve: la distrusse nel 1246 Federico II di Svevia per punire i feudatari del regno che avevano ordito una congiura contro di lui. Appena appresa la notizia del tradimento, l’imperatore radunò il suo esercito e partì per Salerno. Alcuni congiurati, mentre l’esercito si avvicinava, lasciarono Capaccio e si rifugiarono da Papa Innocenzio IV, altri si chiusero nel castello. Era stato proprio il Papa, preoccupato per le mire espansionistiche dell’imperatore svevo, a scomunicarlo e ad incitare i feudatari alla congiura.

Secondo la leggenda l’assedio al castello da parte di Federico II e del suo esercito durò circa quattro mesi, dopodiché i congiurati si arresero, stremati dalla fame e dalla sete. Si racconta che fu terribile la sorte dei sopravvissuti, vittime dell’ira dell’imperatore: alcuni accecati, altri legati a code di cavalli e squartati, altri, infine, chiusi in un sacco di cuoio assieme ad un cane, una scimmia, una vipera e un gallo, simboli del tradimento, e buttati in mare. Caput Aquis, di cui non sono rimaste che poche tracce oltre al santuario, viene indicata oggi anche come “Capaccio Vecchio”, per distinguerla dalla “Capaccio Nuova”, che nacque, alcuni anni dopo la congiura, dal trasferimento della popolazione presso i casali che si trovavano tra i monti Sottano e Soprano.